Il portone sprangato mi impediva di guardare oltre nel vecchio giardino abbandonato,
ma mi sembrava di sentire ancora il profumo della pianta di limonetto ( lemon
verbena) che mia nonna aveva piantato proprio davanti all’ingresso e
che lei chiamava in dialetto “belgiovane”. Da una fessura intravidi
il pozzo, ormai ricoperto di rovi.
Fai piano altrimenti i pesci rossi scappano e non li vedi più.- Mario
mi strapazzava sempre, ma mi portava spesso con lui a pesca di ricci e di
cozze in un posto da sogno chiamato “all’acqua di Cristo”.
Mario era mio zio, il fratello più piccolo di mia madre, quello che
mia nonna ebbe in età già avanzata e che si era dovuta tirare
su da sola essendo rimasta vedova quando Mario aveva pochi anni. Con molti
sacrifici avrebbe fatto studiare quell’ultimo figlio cresciuto senza
padre: diploma di ragioneria per un destino diverso da quello degli altri
fratelli.
Mario aveva chiamato Lorenzo, Lorenzino, Renzo e Renzetto i quattro pesci
rossi, vinti nei tiri a segno. Giostre, autoscontro e giochi vari di abilità
arrivavano puntuali nei giorni di festa del paese. Qualche volta arrivava
anche il circo.
Non trovo più Nino! – Il mio gattino nero.
Fanno entrare gratis quelli che portano mici e cagnetti in pasto alle belve
del circo.
Mario sapeva di darmi un grande dolore. Io avevo 7 anni, lui 14, si divertiva
a tiranneggiarmi così. Quella volta Mario andò al circo…
Nel giardino di mia nonna si aprivano le uscite di sicurezza del cinema Fulgor.
Tutta la mia famiglia gestiva la sala cinematografica, aperta solo d’inverno.
Il giardino divideva con un alto muro il cinema Fulgor dalla sala estiva,
il cinema Arena. Nel giardino mi divertivo ad ambientare le mie storie fantastiche:
facevo rivivere lì le immagini dei film che ogni giorno, sgattaiolando
dalle porte semichiuse delle uscite di sicurezza, guardavo fino a quando mia
madre mi trovava raggomitolata su una sedia, addormentata: Marcellino pane
e vino, La maschera di ferro, Totò, miseria e nobiltà, Carosello
napoletano, i western americani, quelli in cui i cattivi erano ancora gli
indiani e i buoni arrivavano sempre in tempo, i drammoni italiani, in cui
le donne che avevano esperienze sessuali fuori dal matrimonio facevano sempre
una brutta fine…( non capivo allora perché alcune scene di Riso
amaro con Silvana Mangano e Vittorio Gassman venivano oscurate..) e poi la
commedia dei poveri, ma belli. Il coinvolgimento del pubblico era totale,
risate, ma anche fischi, improperi contro il traditore di turno. Applausi
di soddisfazione quando con il buon Amedeo Nazzari trionfava la verità
e la giustizia…I miei divi preferiti protagonisti di ogni mia storia
fantastica erano il cantante Giacomo Rondinella e la mitica Silvana Pampanini.
Quando zio Angelo si sposò e venne assunto come vigile urbano, fu proprio
Mario a sostituirlo nello stanzino della proiezione, qualche volta lo aiutavo,
al mattino quando non ero a scuola, a incollare le pellicole che si rompevano.
Quelle scene tagliate provocavano il dissenso sonoro degli spettatori . Mia
nonna vendeva le bibite, mia madre e mia zia Linda ripulivano la sala il mattino
dopo. Tutta la mia vita ruotava attorno al cinema Fulgor, faticavo a distinguere
la realtà da quel mondo virtuale di celluloide. Mi identificavo sempre
con tutti gli sfigati perseguitati, traditi dai cattivi di turno, invidiosi,
gelosi della bellezza, della bontà del protagonista o della protagonista
dei film. Alla fine però trionfava sempre il bene e questo mi rassicurava.
I grandi manifesti e le locandine ora ammiccanti, ora patetici, ora divertenti
mi affascinavano e restavo ore ad osservarli, a leggere i nomi degli attori
e delle attrici. Poi arrivarono quelle strane parole da decifrare: “cinemascope”
“technicolor”.
Mia zia Linda riproduceva i passi di danza visti al cinema e io la imitavo.
Spesso nel “lessico familiare” risuonavano le battute di Tognazzi
o di Alberto Sordi, o si imitavano i gesti un po’ impertinenti di Totò.
Ora un grosso topo di fogna sembrava l’unico abitante a guardia della
casa, per il resto desolatamente abbandonata.
Mamma andiamo, qui è tutto in rovina. Mi avviai, volgendo ancora una
volta indietro il capo.
1/07/09
Angelica Lubrano