Quali sono state le relazioni fra arte e scienza nella storia?
Per molto tempo le due attività umane hanno camminato insieme .
Da un certo punto in poi però, la scienza si libera dal principio di
autorità, l’ipse dixit , che imponeva di cercare ogni conoscenza
della realtà nelle sacre scritture, dove erano contenute tutte le verità
rivelate, tutto ciò che ogni timorato di dio doveva conoscere, e finalmente
si applica alla tecnologia con una formidabile accelerazione.
Fino ad allora nessun dubbio aveva attraversato la mente degli uomini: la
realtà come si manifesta (Fenomeno) non poteva non corrispondere alla
realtà come è (Noumeno). Dio stesso era il garante della corrispondenza
fra i due piani della realtà. Può Dio ingannarci? Questo sostenevano
i religiosi invitando a cercare ogni risposta nei testi sacri. Poi gli uomini,
con Copernico, Bacone e Galileo e altri, scoprono che la realtà conosciuta
attraverso i sensi e i testi sacri non corrisponde alla realtà in sé:
i sensi possono ingannarci, e anche le sacre scritture possono essere solo
favole …. L’uomo non occupa più il centro dell’universo
che non è stato creato per gli uomini, occasionali abitatori di esso.
Lo spazio e il tempo si dilatano proiettando l’umanità in una
realtà sconosciuta, tutta da scoprire. L’uomo supera le colonne
d’Ercole: viaggi, esplorazioni, scoperte…
Ma l’ottocento si apre ancora con il calesse e le candele, si chiude
però con le auto, i treni, i primi voli, il telegrafo, il telefono,
i dagherrotipi, l’elettricità….Conquiste esaltanti che
conducono a un conflitto, una frattura fra arte e scienza: alla pretesa di
quest’ultima di raggiungere ogni aspetto di conoscenza della realtà,
fino al determinismo positivista e l’arte si piega al primato della
scienza con il naturalismo francese e il verismo in Italia.
Ma presto appare evidente che la scienza e la tecnologia non possono spiegare,
decrittare angoli bui della coscienza umana, ci prova la scienza con la sociologia,
con la psicologia, ma l’uomo appare refrattario ad ogni definitiva classificazione.
L’ individuo appare in grado con la propria volontà di vanificare
ogni proposito di ridurlo a un mero dato esclusivamente materiale.
La ragione appare presto impotente a spiegare ogni manifestazione dello spirito
umano.
E l’arte che sembrava messa all’angolo dai mezzi tecnologici sempre
più avanzati, sempre più sofisticati nelle loro capacità
di rappresentare la realtà, rivela inesorabilmente i limiti della scienza
e arroga a se stessa il compito di indagare una realtà più autentica,
che va oltre i dati sensibili. L’artista appare l’unico depositario
degli strumenti di conoscenza della realtà più profonda, dell’inconscio,
del mistero, attraverso lo sregolamento dei sensi, attraverso il sogno, ma
anche attraverso le droghe, l’alcool: è la fase dei poeti maledetti,
del simbolismo, del decadentismo. Bergson si interroga sul concetto di tempo
come durata: nasce il romanzo moderno che non si muove più razionalmente
da un inizio a una fine lineare (es. i Promessi Sposi), ma segue il tempo
interiore che va avanti (con l’immaginazione) e indietro (flashback)
con la memoria. Siamo a Svevo, Pirandello, Joyce…
Nella poesia è il rifiuto della ragione, cioè delle regole che
nascono dalla ragione, il verso è libero, evocativo, sparisce la rima,
la metrica, la punteggiatura, fino ai futuristi che rifiutano persino la coniugazione
dei verbi (verbo all’infinito) e coniano parole composte nuove.
Con poche eccezioni (neorealismo o realismo socialista) questo processo con
nomi e dettagli diversi è giunto fino a noi. Ora mi chiedo: alla luce
dello sviluppo imprevedibile e inedito della scienza e della tecnologia che
hanno condotto l’uomo oggi a un grado di potenza e di conoscenze tali
da poter essere veramente considerato a immagine di dio (Storia e destino
di Aldo Schiavone), l’arte deve interrogarsi sul proprio ruolo e definire
una nuova sintesi? Anche l’arte può dilatare le proprie capacità
di rappresentare questa nuova dimensione in cui l’uomo appare proiettato?
3/11/08
Angelica Lubrano
Quiliano (SV)