“Volevamo braccia, sono arrivate persone”:

La storia e il mito insegnano: sono sempre i fuggiaschi a creare nazioni e culture. Il Mediterraneo coi suoi millenari movimenti migratori lo dimostra. E gli italiani, popolo di migranti, dovrebbero capirlo più degli altri.
«. . . Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l'arco de lo essilio pria saetta.
Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale. . .»
Paradiso XVII: 55-60
Questi versi voglio dedicare ai fuggiaschi di ogni luogo, agli scampati di ogni guerra, di ogni disastro, a ogni uomo costretto a lasciare la propria città, il proprio paese e a emigrare altrove. Sono dedicati, i versi, agli infelici che oggi approdano, quando non annegano in mare, sulle coste dell’Europa mediterranea, approdano, attraverso lo stretto di Gibilterra; approdano, attraverso il canale di Sicilia, nell’isola di Lampedusa, di Pantelleria, sulla costa di Mazara del Vallo. La storia del mondo è storia di emigrazione di popoli – per necessità, per costrizione –Nel nostro Mediterraneo, nella Grecia peninsulare, nell’Italia meridionale (Magna Grecia), in Sicilia, Francia, Spagna. La colonizzazione greca in Sicilia, avvenne con organizzate spedizioni di emigranti, di fratrie, comunità di varie città che sotto il comando di un ecista, un capo, tentavano l’avventura in quel Nuovo Mondo che era per loro il Mediterraneo occidentale. In Sicilia fondarono grandi città come Siracusa, Gela, Selinunte, Agrigento, convissero con le popolazioni già esistenti, assunsero spesso i loro miti e riti, stabilirono pacifici rapporti. Ma non voglio qui certo fare – non saprei farla – la storia dell’emigrazione nell’antichità’. Voglio soltanto dire che l’emigrazione è fra i segni più forti della storia. “Dall’Unita’ d’Italia (1861) non meno di 26 milioni di italiani hanno abbandonato definitivamente il nostro Paese. È un fenomeno che, per vastità, costanza e caratteristiche, non trova riscontro nella storia moderna di nessun altro popolo”. Sull’emigrazione nel Nuovo Mondo esiste una vasta letteratura storico-sociologica, documentaria, ma anche artistica. Il racconto “Dagli Appennini alle Ande”, del libro Cuore di Edmondo De Amicis, è il piu’ famoso. E anche, dello stesso autore, “Sull’oceano”. Meno famoso è invece il poemetto Italy di Giovanni Pascoli; “Sacro all’Italia raminga” ne è l’epigrafe. Vi si narra, nel poemetto, di una famigliola toscana, che ritorna dall’America. Nella poesia compare – ed è la prima volta nella letteratura italiana – il plurilinguismo: il garfagnino dei nomi, lo slang della coppia e l’inglese della bambina.
Non era allora solo nelle Americhe l’emigrazione, essa avveniva anche, e soprattutto, dal Meridione al Nord d’Italia e in Europa. Comincia nei primi anni dell’Ottocento, ed è di fuoriusciti politici:liberali, giacobini e carbonari, perseguitati dalla polizia borbonica. Nel secolo scorso, nell’Italia dell’industrializzazione, del cosiddetto miracolo economico, della crisi del mondo agricolo e insieme della nuova emigrazione di braccianti dal Sud verso il Nord industriale del Paese e dell’Europa la fine degli anni ’80 segna la data fatidica dell’inversione di rotta della corrente migratoria. Segna l’inizio di una storia parallela, speculare a quella nostra: di siberie, di campi di lavoro, di mondi concentrazionari, di oppressione di popoli a causa di regimi totalitari o coloniali. In cui l’umanità’, per tre quarti, è stata prigioniera, incatenata all’infelicità’. E le siberie hanno fatto si’ che il restante quarto dell’umanità’, al di qua di mura o fili spinati, vivesse felicemente, nello scialo dell’opulenza e dei consumi. Ma dissoltesi idolatrie e utopie, crollati i colonialismi, abbattute le mura, recisi i fili spinati, sono arrivati i tempi delle fughe, degli esodi, da paesi di mala sorte e mala storia, verso vagheggiati approdi di salvezza, di speranza. Ed è il presente un atroce tempo di espatri, di fughe drammatiche, di pressioni alle frontiere del dorato nostro “primo” mondo, di movimento di masse di diseredati, di offesi, di oltraggiati.Da ogni Est e da ogni Sud del mondo, da afriche dal cuore sempre più di tenebra, da sudameriche di crudeltà pinochettiane si muovono i popoli dei battelli, dei gommoni, delle navi-carrette, dei containers, delle autocisterne, carovane di scampati a guerre, pulizie etniche, genocidi, fame, malattie. Fugge tutta questa umanità dolente ed è preda dei criminali del traffico di vite umane, sparisce spesso nei fondali dei mari, nelle sabbie infuocate dei deserti, come detriti di una immane risacca, finisce sopra scogli, spiagge desolate o anche fra i vacanzieri stesi al sole per abbronzarsi. Non vogliamo andare lontano, non vogliamo dire del muro di acciaio eretto al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, ma dire di qua, del confine d’acqua che separa l’Europa da ogni Sud del mondo, dire del Mediterraneo e della bella Italia, del suo Adriatico e del suo Canale di Sicilia. Tante e tante volte le carrette di mare provenienti dall’Albania, dalla Tunisia o dalla Libia, stracariche di disperati, si sono trasformate in bare di ferro nei fondali del mare, di centinaia di uomini, di donne, di bambini. E finiscono anche i corpi degli annegati nelle reti dei pescatori siciliani… E si potrebbe continuare con le cronache di tragedie quotidiane, di una tragedia epocale che riguarda i migranti, le non-persone che cercano di entrare nella vecchia Italia, nella vecchia Europa della moneta unica, delle banche e degli affari. Vecchia soprattutto l’Italia per una popolazione di vecchi. Quanto ciechi noi siamo a voler scansare quel mare di vitalità che è arricchimento: fisiologico economico, culturale, umano… quell’incontro o incrocio di etnie, di lingue, di religioni, di memorie, di culture, incrocio che è stato da sempre il segno del cammino della civiltà.

Storia dell'emigrazione