Esco a fumare, ho bisogno di schiarirmi le idee e questo maledetto vizio mi aiuta, alibi peraltro non vero.
Penso, penso alla mia situazione di figlia unica, rimasta recentemente ed improvvisamente orfana.
Dovrei sentirmi finalmente libera, avendo, per quasi tutta la mia esistenza, subito continui condizionamenti, ricatti e quant’altro.
Nonostante ciò, mi sento sola, non propriamente per la mancanza fisica che bene o male riesci ad elaborare e a compensare. Nervosamente mi porto la sigaretta alla bocca.
Che rabbia, perché sento che una parte della mia identità se ne è andata? Perché banalmente penso che ora non potrò più parlare nel mio dialetto e ricordare storie antiche di tradizioni che ormai si perderanno definitivamente?
Perché questa è la realtà, perché ho vissuto l’infanzia in un paese di campagna con storie ed usanze che si sono radicate dentro inconsapevolmente ed ora mi vengono a mancare, perché se in passato ne parlavi, spesso anche con noia, ora non ne puoi più parlare con nessuno. Questa circostanza, che spero transitoria, ti dà una sensazione di non appartenenza.
Mi accorgo che, presa da questi pensieri, sto anche gesticolando e dalla sigaretta esce un filo di fumo che forma un cerchio perfetto, accidenti, non mi è mai riuscito, nemmeno impegnandomi di proposito!!
Penso, penso a cosa potrò fare ora libera, senza vincoli e mi accorgo che ho vissuto così tanti anni in funzione di altri che non so come organizzarmi il cambiamento, pazzesco, ho quasi una forma di panico solo all’idea di affrontare lontane esperienze di viaggio e conoscenza.
Io non sono così. La sigaretta è alla fine. Con eccitazione penso che quando finirò i pacchetti di scorta, finalmente uscirò a comprarle. Le maledette. E poi? E poi si vedrà!

Adriana Antonielli

OTTOBRE 2009 di Adriana Antonielli