Premessa: 1898: anno di nascita di Marcuse, 1905: Sartre, 1898: Fautrier, 1881: Picasso, 1899: Fontana, 1914: Jorn, 1921: Appel….
Intorno al 1960, all'inizio della mia attività artistica (mentre frequentavo abusivamente talune aule dell'Università di Genova) prediligevo l'ascolto di jazz e modellavo teste nere di terra refrattaria dal vivido manganese, mentre gli amici artisti si chiedevano quanto fosse importante l'Informale. Nell'esuberanza giovanile era scontato avvicinarsi a chi aveva idee e comportamenti simili, pur cercando di comprendere i padri o i fratelli maggiori che avevano da poco superato l'ultimo conflitto. Mi erano rimaste impresse le parole di mia madre quando, durante l'infanzia, mi raccontava dei tanti dolori subiti, delle paure, quasi a volersene liberare per sempre: «In molte famiglie vi erano fratelli che si combattevano l'un l'altro, uno fascista, l'altro partigiano…». Ne avevo tratto una drastica conclusione: Caino ed Abele erano ancora vivi e, né la Chiesa, né lo Stato, avevano saputo cambiare le cose anche se i testi erano zeppi di amore fraterno, di uguaglianza e di libertà. Non era più il tempo per la sottomissione ad una qualsiasi dottrina. Occorreva guardare oltre il nuovo frigorifero, il giradischi ultimo modello, la TV, la canzonetta struggilacrime del Festival, i film censurati sulla scena d'un bacio, i giornali che presentavano divi bellocci e dive provocanti per la gioia del camionista, mentre ai Licei insegnanti fascisti gestivano politicamente le selezioni.
Uno dei tanti miei "primi" lavori, fu presso un Sindacato dove conobbi i bisogni dei metalmeccanici. Lasciai da parte i classici della Magna Grecia e la Bibbia per tentare di leggere Marx, lasciai la lettura dei romanzi d'ultimo grido per appassionarmi a Sartre, Camus, Musil, Adorno, Kafka, Mann, Nietzsche, Dorfles, Wind, Huxley, i filosofi esistenzialisti e, quando mi capitò tra le mani Marcuse, mi appassionai a tal punto da poterne ripetere il contenuto quasi a memoria mentre gli amici di Torino volgevano lo sguardo ad un certo "libretto rosso". Si era già prossimi al 1968. Gli anni che lo precedettero furono, per me, talmente intensi che avrei potuto considerare chiusa la mia vita, fu più forte il coraggio della sfida verso il futuro, ricordo che lasciavo scorrere la quotidianità quale unica risorsa di sopravvivenza, ma nello stesso tempo ero "contro". Contro tutto e tutti, in anticipo di ben 3 anni su quanto sarebbe accaduto poi ad una gran parte della gioventù, mi ritrovai bohemien fuori di casa, fermamente decisa a non rimpiangere famiglia, libri, benessere, vestiti eleganti, pettinature all'ultima moda, ceramica e dipinti su tela, avevo la sfrontatezza dell'esser libera e di portare tra i capelli un fiore…nella valigia solo l'Olivetti 22 che riuscì a farmi rientrare nella norma proprio quando intorno a me metteva le radici la Protesta Pacifista dalle mille identità in uno spirito altamente gregario che stava coinvolgendo tutto il mondo. Arrivò come un ciclone e, come la mia personale esperienza, finì presto. Entrambe lasciarono il segno. Il "rientro" alla normalità che fu per me ragionato, per altri fu l'inizio di un esasperato individualismo che si diramò in frantumati specchi con atteggiamenti impulsivi dove per libertà fu intesa la distruzione d'ogni disciplina e morale del passato, la "dolce vita" diventò un costume di massa, la donna-femmina rivendicò i suoi diritti sull'autorità del padre o del marito, le coppie sperimentarono la promiscuità e qualcuno dall'animo moralista, meditò che occorrevano delle regole per arginare i programmi di nuove ricchezze dei potenti grazie al "Consumismo"di massa. Fu nel 1969 che rifiutai un lavoro nell'ambiente pubblicitario per non diventare portavoce della mistificazione; intanto i sessantottini, quelli che avevano occupato le Università, cominciarono a lavorare al fianco dei padri pronti a prenderne il posto in ogni genere di lavoro. Il '68 fu prodigo nel migliorare la condizione di una maggiore quantità d'individui, il sipario era finalmente calato sull'ultimo conflitto e sulla guerra fredda, sebbene nuove tensioni fossero in agguato. Ambiguamente iniziò una disgregazione della personalità, con mancanza di valori, con la deriva verso la droga, l'indifferenza umanista, l'arrivismo, la speculazione, la mediocrità intellettuale… a vantaggio del capitalismo legato alle ben salde lezioni del passato. L'appropriazione di una libertà concettuale ha creato l'opera d'arte per eccellenza: l'omologazione del pensiero e del fare. Gli specchi rotti riflettono oggi un mondo genericamente instabile, pronto a qualsiasi gesto per non sottomettersi all'orgoglio nel non voler riconoscere il fallimento esistenziale. La "perdita d'identità"e la conseguente "banalizzazione" citata da Isidore Ison padre del Situazionismo, non hanno favorito le future generazioni, ma non per questo esse sono legittimate al ripescaggio di un qualche frammento che a loro non è mai appartenuto se non di riflesso.

Silvana Alliri

GLI SPECCHI ROTTI DEL SESSANTOTTO di Silvana Alliri