L’anfiteatro dell’Aula Magna di Chimica si sta riempiendo. Il brusio delle voci, i richiami degli studenti che hanno tenuto il posto agli amici, l’antico e consueto rumore delle panche e degli scalini in legno. Un’aula che potrebbe accogliere 200 studenti di Medicina, ma che, dopo la recente liberalizzazione dell’accesso all’Università, deve far posto a circa 600 iscritti. Il rumore cresce, diventa incontenibile.
Sono quasi le dieci. Fra poco dovrebbe incominciare la lezione di Chimica organica.
Nel laboratorio di preparazione, annesso lateralmente alla base dell’Aula Magna, sto montando i modellini degli scheletri molecolari per la lezione. Socchiudo la porticina di accesso e sbircio, dalla fessura, nell’aula. Ormai è piena zeppa. Anche gli scalini sono occupati, come sedili, dagli studenti.
Sono le dieci e il Professore non è ancora arrivato. Ma si sa, c’è il quarto d’ora accademico…E quella che in altre circostanze verrebbe giudicata grave maleducazione, qui si considera privilegiata consuetudine. Così, tanto per dare il buon esempio.
Un’altra sbirciatina, la folla è impressionante. In alto, in fondo, sono già tutti in piedi. E il Professore non si vede. Comincio ad inquietarmi. E se non arrivasse ? Forse dovrei andare io, ma lui non mi ha detto niente…Va bene, vuol dire che, se proprio non viene, andrò io. I modellini sono pronti, la lunga parete di lavagne ben cancellate e pulite. Nella tasca del mio camice i gessi ci sono. Ma il cancellino? Ci sarà il cancellino? Ho ricordi piuttosto spiacevoli sulla mancanza del cancellino: ricerche spasmodiche al completamento dell’ultima lavagna disponibile, uno studente che lo cerca dalla parte opposta, uno che lo cerca per terra, il bidello chiamato che non arriva, l’attenzione che cala e il chiasso che sale…
No, il cancellino c’è, mi ha rassicurato il bidello che è andato anche lui a sbirciare dalla porticina laterale. Apre, richiude e mi guarda con un’espressione di compatimento del tipo…Mamma mia, povera lei…
Sento finalmente la voce del Professore; sta scendendo dalle scale. Ah, ma allora c’era! Meno male!
Diritto, sicuro, d’aspetto ancora decisamente giovanile, una cartellina nera sotto il braccio, il camice bianco ben stirato. Allora, dottoressa, come va? Com’è l’aula?
- Strapiena!
- Sento, sento… Si avvicina alla porta e la socchiude con una fessura piccolissima. Come un fiume in piena il baccano straripa e ci travolge.
Mi sembra che quelli dell’eskimo verde non siano ancora arrivati…
- Non li ho visti Professore, forse oggi non verranno … ormai…
- Il fatto è che quelli dell’eskimo verde, si posizionano in piedi fra la cattedra e la prima fila dei banchi formando un muro compatto. Poi cominciano ad insultare fino a che il Professore non può più fare lezione.
- Non li ha visti?
- No, professore.
- Beh, aspettiamo ancora un po’…Se arrivano, vada lei.
- Sì, c’è poco da scherzare…
Già gli hanno rigato più volte la macchina, poi le minacce di morte scritte a fianco del portone… Il fatto è che il Professore quand’era poco più che adolescente era finito nella San Marco. Forse nella confusione di quei tragici mesi aveva creduto di fare una scelta coerente. Già… la coerenza e la correttezza… Quella rigorosa correttezza che lo caratterizza e per la quale agli esami il Professore fa sorteggiare le domande (anche ai figli dei colleghi cattedratici o dei politici importanti). Ad ogni domanda un punteggio. E, se arrivi a 18, bene, sei promosso. Altrimenti, no. Senza il minimo spazio per un aggiustamento o per una discrezionalità personale.
Ma la severità in questi tempi è pericolosa. Molto pericolosa. Ad Architettura giorni fa uno studente ha messo in bella mostra una pistola sulla cattedra prima dell’esame…
E, forse, adesso toccherà a lui…
Il Professore controlla i modellini che ho preparato. Non sembra avere paura. Almeno non lo dimostra. Il bidello, stirando indietro e in basso le labbra serrate mi lancia la solita occhiata di sgomento.
- Dottoressa guardi di nuovo…Socchiudo la porta… Eccoli! Saranno un decina, schierati uno a fianco all’altro, le braccia conserte sugli eskimo verdi, le barbe incolte, i capelli arruffati. Con lo sguardo risoluto sembrano dire: - Qui un fascista non può far lezione!
- Professore… Sono arrivati …
- E allora… vada lei … vada lei… - Sussurra il professore come sopraffatto da una profonda tristezza. Allora… mi tocca proprio… Metto le mani in tasca a cercare il gesso, raccolgo alcuni modellini, faccio un profondo respiro e mi avvio. Spalanco finalmente la porta. Completamente. Il chiasso fa posto ad un brusio di curiosità. Tutti si staranno chiedendo: - Chi farà lezione?
Eh sì, sono io. Solo io. Leggo la delusione negli sguardi dei ragazzi del muro d’eskimo. Per loro non sono proprio interessante, non puzzo di cattedratico neanche un po’. Allora, con un cenno del capo, uno di loro ordina agli altri di uscire. Se ne vanno, lentamente, in fila. Li guardo, sono quasi tutti fuori corso e di vista li conosco; avranno circa la mia età.
I giovani studenti della prima fila tirano un sospiro di sollievo. La lezione si farà..
Mi avvicino al muro delle lavagne e comincio:
“Oggi parleremo del gruppo carbonilico nelle aldeidi e nei chetoni e della relativa nomenclatura IUPAC di tali composti….”

Ivana Trevisani Bach



IL MURO DI ESKIMO VERDI di Ivana Trevisani Bach